La Fotografia, un doppiofondo del vissuto
4 maggio 2024
8 giugno 2024
YAG/GARAGE
PESCARA
La Fotografia, un doppiofondo del vissuto
A cura di Paolo Dell’Elce
Giada Ciarcelluti, Lorenza D’Orazio, Marine Hovakimyan, Aram Kirakosyan, Mariam Mkheyan, Alessandro Nanni, Iacopo Pasqui, Romina Patiño, Maria Pavlovskaya, Evgenia Tolstykh.
La vicenda umana tratta da sempre archetipi, ormai logori, che hanno lo scopo di rassicurare, ma l'arte sappiamo che non ha mai una forma rassicurante e i linguaggi artistici sono aperti a possibilità sconosciute da cui lasciarsi sorprendere, la tendenza, invece, è quella di imbrigliare i linguaggi e chiuderli nei significati conosciuti e riconosciuti per convenzione, espressi e codificati una volta per tutte senza nessuna volontà di interrompere il circolo vizioso della rappresentazione. L'uomo, prigioniero della propria autoreferenzialità, continua a "raccontarsi" anziché aprirsi alla contemplazione e all'ascolto della forma, delle entità che si appresentano e manifestano. Il monolite di 2001 Odissea nello Spazio ad un certo punto irrompe all'attenzione del vivente e da quel momento qualcosa accade. Attraverso il lavoro di giovani autori che vivono la suggestione e sentono il peso e le responsabilità di uno sguardo che viene da lontano, un'eredità ancestrale che ha sfidato il tempo ed è sopravvissuto alle mode, possiamo intravedere e riconoscere una lontana impronta comune, un'inquietante connotazione della specie umana che dovrebbe far riflettere sulle dinamiche della nostra "evoluzione".
La mostra propone opere fotografiche di grande intensità e concentrazione visiva che restituiscono una dimensione particolarmente significativa e commossa del vissuto umano nei suoi aspetti più delicati ma anche più crudi, cercando di andare oltre l’evidenza dell’immagine e stabilendo connessioni più profonde, analogie e differenze, all’interno di un percorso espositivo che coinvolge oggetto estetico e spazio dove l’essere umano (e il mondo che lo comprende), nella sua espressione figurativa, costituisce l’entità discriminante tra le categorie di "vero" e "non vero", "presenza" e "assenza", "visibile" e "invisibile" e nelle contraddizioni consustanziali alla sua esistenza arriva a suggerire l’idea di un luogo altro, celato sotto la superficie apparentemente familiare della quotidianità: un "doppiofondo del vissuto" – l’espressione è di Maurice Merleau-Ponty – che traspare e prende forma e senso proprio nella Fotografia come linguaggio e indice visibile dell’invisibile; testimone del tempo della luce che dona rilievo e complessità alla vita di ogni uomo.[...]
Come restituire senso e fiducia ad attività umane che hanno perso ogni contatto con la concretezza del mondo intorno a noi? Un mondo che percepiamo "virtuale", smaterializzato, che fa sempre più fatica a inverarsi e a tornare praticabile e vivibile. Ascoltando i più giovani emerge nelle loro richieste una fame di verità commovente. E questa necessità fa ben sperare. Quando si è giovani non ci si accontenta di soluzioni preconfezionate e si vuole esperire ogni cosa nella pienezza della propria soggettività. Ognuno degli autori in mostra ha scelto la Fotografia per amplificare la propria percezione e conoscenza e soddisfare questa fame di verità e di presenza attingendo ad un linguaggio della latenza che sostanzialmente, anche dopo la rivoluzione della tecnologia digitale, resta pur sempre la Fotografia (il negativo fotografico, ma anche il sensore digitale, trattiene latente dopo lo scatto dell’otturatore della fotocamera un’immagine invisibile che dovrà successivamente essere rivelata chimicamente o per mezzo dei software nel caso di un’immagine digitale). [...]
Pensando ad ognuno di questi autori, giovani e meno giovani, ai loro sogni, alle loro aspettative artistiche e professionali, a come si sono ritrovati in queste loro immagini, mi sono accorto di quanto questi 'ragazzi' in fondo siano simili; e capisco che ciò che li accomuna è proprio la ricerca di una verità e una bellezza che corrispondono alla loro forma più intima, alle belle persone che incarnano. Qualcuno tra loro è già molto avanti e la sua strada è ben delineata, qualcun altro ha appena iniziato il percorso e sta ancora sondando il terreno, ma tutti hanno un profondo rispetto per il linguaggio con cui si stanno confrontando e sono consapevoli dell’importanza che esso riveste per acquisire conoscenza e restituire quella veridicità di cui oggi soprattutto i più giovani hanno un grande bisogno. Da parte mia posso confermare che quello che ho letto e ravvisato nelle loro fotografie corrisponde esattamente a quello che vedo nei loro occhi: uno scintillio di genuinità che io chiamo il vero umano, una pura qualità esistenziale, un fondamento di autenticità che emerge e si compie nell’aderenza consustanziale del vivente con il vissuto e a cui non si può più rinunciare quando lo si scorge sui volti delle persone e se ne è toccati.
(Da: La Fotografia, un doppiofondo del vissuto, di Paolo Dell’Elce)