Annalisa De Luca nasce a Ortona (CH) nel 1979 e vive con le sue figlie a Francavilla al mare. Poco più che ventenne si cimenta con le prime prove fotografiche: è attratta dal mezzo, ma presto l’abbandona. Non è il momento. La vita la dirotta altrove: a nutrirsi di esperienze, a cercare se stessa nella luce e tra le ombre, a interrogarsi sulla propria radice di verità. Quando si accosta di nuovo al mezzo fotografico ha trentacinque anni. Il richiamo ora è potente: la fotografia diventa per lei un secondo linguaggio, più naturale della parola stessa. Il primo riconoscimento al suo talento arriva velocemente, già nel 2016, quando l’artista viene selezionata per “Female in March”, evento organizzato da Officine Fotografiche in collaborazione con Female Cut presso l’Ex-Dogana di San Lorenzo a Roma. Nel 2017, alcune sue opere sono incluse nella mostra collettiva “ArtisTank” di Londra. La macchina fotografica diventa un prolungamento dei suoi sensi, un dispositivo necessario allo scandaglio emotivo e alla sua rivelazione. Oggetto del suo sguardo e cuore dell’indagine è il corpo, anzi, il suo stesso corpo, che assurge così a traduttore universale. L’autoritratto diventa per l’artista terreno espressivo d’elezione. Ogni corpo, nel mostrare, nasconde, e nel nascondere mostra: la fotografa sente in sé questa verità e l’urgenza di renderla materica. Ogni scatto ne è testimone, sia che il corpo si scontorni o si dissolva sia che si imponga con la plasticità dei suoi volumi, scolpiti grazie a una sapiente modulazione luministica. Il suo corpo si fa veicolo di una emozione radicale perché tale è la visione dell’artista. Netta ed estrema, quell’emozione arriva a toccare fisicamente chi guarda, a rendere chi guarda fisicamente partecipe. Mentre la produzione artistica si accresce vertiginosamente, i temi della sua poetica si delineano con sempre più incisività: la deprivazione, il bisogno di amore, la perdita, la ricerca dell’autenticità, la vulnerabilità. Gli oggetti con cui il corpo dialoga sono parte del quotidiano dell’artista, ma risignificati, ovvero trasformati in specchi del proprio sentire. Ad esempio, nella selezione di scatti presente ne “Il corpo solitario. L’autoscatto nella fotografia contemporanea. Volume III” (Giorgio Bonomi, edizioni Rubbettino, 2022), il significante che funge da filo narrativo sono i fiori: freschi o appassiti, comunque recisi, doppiano il corpo stesso, rafforzandone la richiesta di essere guardato, forse per non svanire. L’abisso e l’anelito al divino, la capacità di creare e la volontà di distruggere coesistono in ogni scatto della fotografa che sembra suggerire a chi guarda che la bellezza passa necessariamente dalla vulnerabilità, e che è quest’ultima a renderci veri.