A Roma i sogni si realizzano ancora | Nicola Maria MARTINO
a cura di Ivan D’Alberto
Ripartendo da un aneddoto giovanile che cambiò totalmente la carriera di Nicola Maria Martino l’appuntamento espositivo è il risultato di un confronto tra due momenti ritenuti dalla critica tra i più importanti della sua ricerca artistica: le azioni concettuali-comportamentali dei primi anni ‘70 e il ritorno, nella seconda metà dello stesso decennio, a temi e tecniche appartenenti ad una pittura di matrice postmoderna. La mostra è arricchita dalla proiezione di una video-intervista inedita all’artista, realizzata da alcuni allievi del Liceo “MiBe” di Pescara (indirizzo Multimediale), diretti dal prof. Emilio Di Donato, e da alcune re-performance di Nicola Maria Martino realizzate da altri studenti dello stesso Liceo (indirizzo Arti Figurative), diretti da Rogo Teatro di Claudia Di Domenica ed Elena Mastracci in collaborazione con la prof.ssa Silvia Pennese.
Nicola Maria Martino è annoverato tra quegli artisti che per via della sua capacità visionaria è riuscito ad anticipare di gran lunga alcuni fenomeni culturali che hanno fortemente condizionato l’evoluzione della storia dell’arte. L’essere antesignano non sempre trova riscontri positivi immediati e alcuni protagonisti del passato lo hanno vissuto sulla propria pelle, rimanendo per diverso tempo in “ombra” e solo in periodi successivi riportati in “luce” e considerati “rivoluzionari”. La visionarietà a volte viene ritenuta un “errore di sistema”, questo accade quando entra in collisione con alcune decisioni che hanno lo scopo di caratterizzare precisi periodi storici. In questa tipologia di dinamica chi anticipa i tempi può essere visto come un “problema”: un elemento di “disturbo” che mette in discussione alcune scelte. Nicola Maria Martino potrebbe rappresentare proprio un “errore di sistema”, ma non per questo è stato posto in “ombra”, anzi, l’artista pugliese è riuscito a dribblare questi ambigui meccanismi collocandosi in una confort zone dove spesso trovano posto quelle figure ritenute “indipendenti”. Personaggi come Martino appaiono quindi molto affascinanti perché, oltre ad essere considerati un “corto circuito”, riportano il dibattito culturale alla dimensione dell’umano.
L’umanità è proprio uno dei temi che caratterizza la mostra a Roma i sogni si realizzano ancora. Tutto il progetto espositivo nasce, infatti, da un aneddoto giovanile che cambiò totalmente la carriera di questo artista, quando a conclusione dei suoi studi in Accademia, contro la volontà del padre, decise di rimanere nella capitale per seguire il suo sogno più grande: quello di diventare pittore. I primi periodi furono difficili tra alloggi di fortuna e poche lire in tasca, ma una sera, in occasione del suo compleanno, festeggiando in una osteria romana, accadde qualcosa di straordinario. Nonostante non potesse pagare la cena al suo unico invitato decise comunque di portarlo al ristorante, qui notò, seduto ad un tavolo, un signore solo. Nicola Maria Martino fece portare a quel tavolo una bottiglia di spumante in modo da coinvolgere ai festeggiamenti anche quell’uomo. Il gesto generoso si rivelò un vero e proprio colpo di fortuna; quell’uomo era una persona molto importante e quella stessa sera chiese a Martino di vedere un paio dei suoi quadri. Ma non fu tutto, quell’uomo chiese al giovane Martino una promessa: produrre per lui un lavoro al mese in modo da poterlo acquistare. Qualche tempo più tardi arrivò anche l’incarico come insegnante in un liceo artistico della capitale e la carriera di questo artista prese un’altra direzione. La vicenda si presenta assai romantica e oltre a dare il titolo alla mostra apre un focus su un periodo storico molto preciso, quando appunto a Roma i sogni si potevano realizzare ancora. Ciò che rende l’aneddoto davvero affascinante è quel desiderio, da parte dell’artista di essere protagonista del proprio presente, sfidando la sorte e lanciandosi in una avventura senza sapere come sarebbe andata a finire. Mai come in questo caso la fortuna ha aiutato un audace che ha voluto perseguire un suo grande desiderio. Tale atteggiamento ha sempre accompagnato la carriera di Nicola Maria Martino che fregandosene di tutto e di tutti ha sempre assecondato il suo intuito. E’ accaduto in diverse fasi della sua ricerca, ma tale approccio è spudoratamente espresso nella decade che accompagna gli anni ’70.
L’appuntamento espositivo è, infatti, il risultato di un confronto tra due momenti ritenuti dalla critica d’arte tra i più importanti della sua ricerca: le azioni concettuali-comportamentali dei primi anni ‘70 e il ritorno, nella seconda metà dello stesso decennio, a temi e tecniche appartenenti ad una pittura che potremmo definire di matrice postmoderna. Anticipando di gran lunga alcuni suoi colleghi, già sul finire degli anni ’60, realizza azioni come L’artista firma i muri (1969), Uscire dalla porta della critica (1970), Ombra d’artista (1971), Artista italiano in vendita (1972) e L’artista non siede mai in panchina (1973). Lavori che presentano Nicola Maria Martino con un look preciso, quello da dandy, e in situazioni paradossali, dove cinismo e ironia diventano la chiave di volta per descrivere la condizione dell’artista di quegli anni, immerso totalmente in quella “cultura poverista” tanto decantata da Germano Celant. Nicola Maria Martino segue alla lettera la lezione del teorico dell’Arte Povera (Flash Art n. 5, novembre – dicembre, 1967), l’artista è artista sempre, nella vita quotidiana, in quella di tutti i giorni. L’artista è prima di tutto un filosofo, non ha necessariamente bisogno di produrre un oggetto d’arte e il solo gesto o il solo atteggiamento può essere sufficiente a veicolare il proprio pensiero creativo. Nelle azioni comportamentali l’artista è opera d’arte, non c’è bisogno del fare artistico e le performance servono a comunicare messaggi precisi volti ad alimentare domande per suscitare nei fruitori delle risposte. La smaterializzazione dell’opera, miscelata al gusto dell’effimero, compone i tableau vivant di questo artista, il quale conferma quel desiderio di essere parte di un periodo storico incentrato totalmente sul qui ed ora. Nel 1974, nel pieno boom dell’esperienza concettuale, che inonda l’Italia e gran parte d’Europa, Martino cambia registro buttandosi sul recupero della pittura. La serie Colore Dolore (1976) nasce proprio in questo momento ed è sintomatica di quel desiderio di “ritorno” ad un medium visivo che in quegli anni viene dichiarato sostanzialmente “morto”. La scelta di Martino diventa quindi “dolorosa” perché recuperare un linguaggio ritenuto da gran parte del sistema desueto e poco rappresentativo di un determinato periodo richiede tanto impegno e in alcuni casi si presenta molto “amaro”. L’artista, invece, sente una forte spinta propulsiva nei confronti di questo medium, una spinta che diverrà inarrestabile e che lo accompagnerà sino ai giorni nostri. Parliamo di una produzione pittorica essenziale, dalle campiture terrose spesso realizzate su fogli a quadretti. Tali lavori mantengono un “gusto poverista”, sono il risultato di una ricerca estetica incentrata su temi filosofici universali che evitano l’espediente narrativo. L’abilità di Martino è proprio quella di traslare la visione poverista nel suo fare pittorico raggiungendo risultati che lo stesso Celant avrebbe potuto definire “primari”. Nicola Maria Martino persegue una metodologia “cleptomane” attraverso l’uso o meglio l’utilizzo improprio di materiali come i fogli di carta a quadretti strappati da un quadernone di scuola. Il lavoro si presenta “elementare”, recupera un fare artistico “essenziale”, dal sapore epifanico che propone una sintassi tonale originaria come se volesse ri-alfabetizzare alla pittura un pubblico ormai disabituato a tale linguaggio. L’uso di fogli a quadretti, che solitamente troviamo nella scuola elementare, attesta proprio un desiderio dell’artista di offrire un processo educativo volto alla riscoperta della pittura che, nel corso della seconda metà degli anni ’70, si presenta tutta mentale. L’aver anticipato di gran lunga l’esperienza della Transavanguardia (Flash Art n.92-93, ottobre – novembre, 1979) ha sicuramente offerto la possibilità a Martino di poter realizzare un altro sogno: smarcarsi da un sistema che lo avrebbe voluto allineato ad alcune necessità di mercato, per sentirsi, ancora una volta, protagonista della sua storia personale.
BIOGRAFIA
Nicola Maria Martino è nato a Lesina (FG) nel 1946, vive e lavora a Ripa Teatina (CH). Si trasferisce con la famiglia a Como dove studia per due anni al Liceo scientifico e poi si iscrive all’Istituto tecnico. Presa la maturità artistica per poter accedere all’Accademia di Belle Arti, nel 1965 si trasferisce a Roma. Qui studia un anno Scenografia per poi cambiare percorso di studi e iscriversi a Decorazione; si forma con Sante Monachesi (nel 1968 firma il manifesto AGRÀ) di cui diventa discepolo e amico. Nel 1970 si laurea con una tesi (il relatore è Maurizio Calvesi) sul concetto di cancellatura per teorizzare la necessaria tabula rasa che uno studente deve eseguire nei confronti dell’apprendistato accademico. Nel 1972 è nominato assistente a Roma e nel 1984 titolare della cattedra di Decorazione dell’Accademia di Belle Arti di Torino. Dal 1993 al 2010 è Direttore dell’Accademia di Belle Arti di Sassari, successivamente è Commissario con funzioni di Direttore dell’Accademia di Belle Arti di Torino. Dal 2018 è Presidente dell’Accademia di Belle Arti di Foggia. La sua partecipazione attiva sulla scena artistica comincia nei primi anni Settanta, durante i quali realizza interventi e azioni concettuali-comportamentali – tra i suoi compagni di strada, in questo periodo, ci sono Mimmo Germanà e Gino De Dominicis – la cui logica è quella di scardinare il sistema precostituito e di depurare il mondo dell’arte dai batteri del mercato. A metà decennio abbandona i procedimenti analitici e la smaterializzazione del concettualismo, anticipando temi e tecniche del ritorno alla pittura nell’ambito del postmoderno. A questo periodo appartengono la serie dei reggiseni (1974) e Colore Dolore (1976) che è, per l’artista, il manifesto di una riapparizione, di una comparsa, di un ritorno nostalgico ai labirinti della pittura: «Lo stupore è tanto nel pensare che uomini ancora dipingono quadri», suggerisce l’artista in un testo di poetica.
Dal 1976 si dedica completamente alla pratica della pittura come ricerca di una mitologia nel senso di memoria universale e personale che si definisce in una espressività contenuta, solare e insieme umbratile, dispiegata in ampie distese cromatiche percorse da segni e figure liriche e inquiete, citazioni elaborate intellettualmente con rimandi a de Chirico, Chagall, Kandinskij, Licini. Nel 1980 Cesare Vivaldi lo segnala sul Bolaffi e lo presenta alla Galleria NRA di Parigi. Nello stesso anno è invitato alla Biennale di Venezia e da questo momento si contano numerose le partecipazioni dell’artista a collettive e personali in Italia e all’estero. Nelle opere di questo periodo si rivela una maturità artistica piena e consapevole espressa da un linguaggio pittorico sensibile e originale che ne fa uno dei protagonisti di quella rinascita della pittura che caratterizza il decennio. Dalla metà degli anni ’80 la pittura di Martino dall’affabulazione emozionata si decanta in termini di sintesi luminosa e spaziale, in termini di un’intensa, sensibile essenzialità̀ espressa in un blu profondo e simbolico. Dopo le tappe più significative della sua pittura rappresentate da Illusioni folli, Nemesis, Panta rei e Grande mare, l’artista passa ai cicli Ferdinandea e Isole (opere silenziose, pervase da malinconia, più riflessive) con un linguaggio in bilico tra astrazione e figurazione che culmina nei piani frammentati e slittanti di Modernissimo. Il ciclo iniziato nel 1997 è costituito da piccole tele dove Martino ritrova una dimensione più intima, sempre intensamente mediterranea, come la memoria di quelle incantate apparizioni di Ritorno a casa del 1993 che sfocia nell’equilibrio di campi cromatici luminosi e intensi, intessuti di incidenti poetici e tracce di vissuto degli ultimi lavori. Nel suo lungo itinerario intellettuale Martino ha esposto in numerose gallerie in Italia e all’estero e sue opere sono presenti in prestigiose collezioni internazionali. Di lui hanno scritto, tra gli altri, Luca Beatrice, Antonio Bisaccia, Cecilia Casorati, Maurizio Coccia, Guido Curto, Franco Fanelli, Giuseppe Gatt, Guglielmo Gigliotti, Giovanni Iovane, Filiberto Menna, Italo Mussa, Massimo Onofri, Ida Panicelli, Giancarlo Politi, Lucia Spadano, Cesare Vivaldi, Antonello Tolve e Ivan D’Alberto.
YAG/garage, via Caravaggio, 125 - Pescara (PE)
opening 13 maggio 2023 h. 18.00 – 21.00
dal 13.05 al 23.06.2023
dal lunedì al venerdì dalle 16.00 alle 19.00
info. yag.pescara@gmail.com